verdi del trentino
  Marco Boato - attività politica e istituzionale
   

articoli dalla stampa
2016 - 2024

articoli dalla stampa
2011 - 2015

articoli dalla stampa
2006 - 2010

articoli dalla stampa
2000 - 2005

atti parlamentari
2006 - 2008

atti parlamentari
2000 - 2005

torna a precedente  

 HOMEPAGE

  I VERDI
  DEL TRENTINO

  
  CHI SIAMO

  STATUTO

  REGISTRO CONTRIBUTI

  ORGANI E CARICHE

  ASSEMBLEE
  CONFERENZE STAMPA
  RIUNIONI


 ELETTI VERDI

  PROVINCIA DI TRENTO

  COMUNITÀ DI VALLE

  COMUNE DI TRENTO

  ALTRI COMUNI


 ELEZIONI

  STORICO DAL 2001


 ARCHIVIO

  ARTICOLI

  DOSSIER

  CONVEGNI

  INIZIATIVE VERDI

  PROPOSTE VERDI

  BIBLIOTECA

  GALLERIA FOTO

  

 

Trento, 16 giugno 2005
MA LA GRAZIA NON È DI CASTELLI
di Marco Boato, senatore del Gruppo Misto
da l’Adige di giovedì 16 giugno 2005

Dopo quasi due annidi tensione istituzionale tra il presidente della Repubblica Ciampi e il ministro della giustizia Castelli, la questione del potere costituzionale in materia di grazia arriva al giudizio della Corte Costituzionale sotto il profilo di un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato (previsto dall’art. 134 della Costituzione).

Fin dalla fine del 2002 già lo stesso presidente del Consiglio Berlusconi (con un intervento sul «Foglio» di Giuliano Ferrara) si era pronunciato a favore della concessione della grazia ad Adriano Sofri, il “caso” da cui - assieme a quello di Ovidio Bompressi - ha tratto origine questa vicenda istituzionale. Ormai la sua ricostruzione giornalistica, per quanto riguarda solo gli ultimi due anni, occupa centinaia di pagine di rassegna stampa.

Ma è stato nel luglio-agosto 2003 che ha cominciato ad emergere pubblicamente con sempre maggiore evidenza, da una parte, l’orientamento favorevole che stava maturando da parte del presidente Ciampi e, dall’altra, la posizione rigidamente contraria assunta dal ministro Castelli.

Di fronte al delinearsi, fin da allora, di un conflitto istituzionale difficilmente risolubile, il 30 luglio 2003 era stata presentata (a prima firma dello scrivente) una proposta di legge (AC 4237) recante «Norme di attuazione dell’art. 87 della Costituzione in materia di concessione della grazia», sottoscritta “trasversalmente” da una trentina dl deputati di quasi tutti i gruppi parlamentari (eccetto la Lega Nord).

Non si trattava, dunque, di una modifica costituzionale, ma di una proposta di legge ordinaria di attuazione della Costituzione vigente, che prevedeva la conferma del potere presidenziale In materia di grazia e la controfirma del presidente del Consiglio.

Il 30 dicembre 2003, ad iter parlamentare già avviato in sede referente presso la Commissione Affari Costituzionali, si verificavano due fatti di singolare importanza in materia.

Quello stesso giorno, con un proprio intervento sul quotidiano del suo partito «la Padania» il ministro Castelli, pur ribadendo la sua contrarietà alla grazia a Sofri, riconosceva che egli stava esercitando un “potere di interdizione” nei confronti del Capo dello Stato. Sotto il titolo eloquente «Castelli: grazia, sì alla nuova legge» il ministro aggiungeva testualmente: «Mi pare che la proposta Boato, presentata recentemente alla Camera, sia ragionevole e dia una risposta corretta ai problemi suesposti”.

Questo intervento spiega perché quel giorno stesso il presidente Ciampi si sia rivolto al presidente della Camera Casini per informarsi sull’iter della proposta di legge in materia di grazia, provocando in tal modo l’iniziativa di Casini di convocare sull’argomento una conferenza dei presidenti di gruppo per il 5 gennaio 2004.

Contravvenendo tuttavia a tutti i pronunciamenti in precedenza favorevoli, l’iter della legge si tramutò in un suo progressivo snaturamento, fino alla sua definitiva bocciatura nella seduta del 17 marzo 2004, di cui furono principali protagonisti AN e la stessa Lega Nord, il partito del ministro che aveva giudicato ‘ragionevole’ la legge.

Sbarrata la via parlamentare, il presidente Ciampi il 30 mano 2004 riassumeva l’iniziativa, sollecitando il ministro Castelli a presentargli il fascicolo su Ovidio Bompressi (che per due volte aveva fatto domanda di grazia) e a istruire un fascicolo su Adriano Sofri (promuovendo così una procedura di grazia “d’ufficio”, prevista esplicitamente dall’art. 681, 4 comma, del CPP).

Il 7 aprile 2004 - nel pieno di un drammatico sciopero della sete attuato da Marco Pannella - il Quirinale rendeva noto un comunicato di durezza inusitata: «Il presidente della Repubblica ha sempre avuto a cuore, come Marco Pannella, l’attuazione integrale del dettato costituzionale. In merito all’istituto della grazia, il presidente Ciampi, come già pubblicamente noto, ha avviato una procedura con l’intento di proseguirla fino al chiarimento definitivo».

In queste ultime parole - «fino al chiarimento definitivo» - era già implicitamente preannunciata la possibilità del ricorso alla Corte Costituzionale, qualora fosse continuato l’esercizio del “potere di interdizione” da parte del ministro Castelli. Partendo dal caso specifico di Ovidio Bompressi, l’8 novembre 2004 Ciampi aveva poi sollecitato il decreto di grazia da parte del ministro, ricevendone un rifiuto scritto con una lettera del 24 novembre.

Da questo diniego formale, dunque, considerato come un esplicito impedimento ad esercitare il potere presidenziale di grazia previsto dall’art. 87 della Costituzione, nasce la decisione definitiva di Ciampi (già ipotizzata il 7 aprile con le parole “fino al chiarimento definitivo”) di mettere allo studio la procedura finalizzata a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, formalizzata con l’iniziativa resa pubblica lunedì 13 giugno 2005, dopo la definitiva conclusione della vicenda referendaria.

Il ricorso del presidente della Repubblica - presentato attraverso l’Avvocatura dello Stato - chiede di annullare la lettera di diniego del ministro Castelli del 24 novembre 2004 e specifica che - in caso di atti “formalmente e sostanzialmente presidenziali” quali la grazia (al pari della nomina del giudici costituzionali e dei senatori a vita, dell’invio di messaggi alle Camere e della richiesta di riesame di una legge) - «la controfirma ministeriale si presenta come un atto dovuto, in quanto ha una funzione per così dire, notarile, di mera attestazione di provenienza dell’atto da parte del Capo dello Stato, oltre che di controllo della sua regolarità formale».

Questo tipo di conflitto istituzionale di fronte alla Corte Costituzionale è una novità assoluta, priva di precedenti in tutta la storia repubblicana.

Un conflitto solo in parte simile si era delineato nel 1991, tra il ministro Martelli, da una parte, e il presidente Cossiga e il presidente del Consiglio Andreotti, dall’altra. Ma a sollevare il conflitto, all’epoca, era stato il ministro, ritirandolo successivamente senza che dunque la Corte arrivasse mai a pronunciarsi nel merito.

Sull’argomento, nel decenni passati, la dottrina si era variamente pronunciata. Il già “costituente” Costantino Mortali si era pronunciato a favore del potere “formalmente e sostanzialmente presidenziale” in materia di grazia, mentre successivamente era prevalsa in parte una dottrina a favore del “potere duale”, confortata da una prassi “tralatizia” (“tramandata”) con rare eccezioni.

Negli ultimi anni, tuttavia, si sono moltiplicati invece i pronunciamenti favorevoli (come il Mortali fin dall’inizio) a riaffermare, nel nuovo quadro costituzionale repubblicano, il potere presidenziale sulla grazia, conformemente al dettato dell’art. 87 della Costituzione, riconoscendo nella controfirma ministeriale un mero “atto dovuto” (come del resto è recentemente avvenuto per la controfirma dei ministro Gasparri al messaggio presidenziale con cui veniva rinviata alle Camere proprio la legge Gasparri).

Ora la parola definitiva spetta alla Corte Costituzionale. L’occasione è il “caso Bompressi” (e, conseguentemente, il “caso Sofri”). Ma la vera posta in gioco, in linea generale, è la questione della natura del potere presidenziale in materia di grazia e la riaffermazione, conseguente, del principio dl leale collaborazione tra i poteri dello Stato.

Il ministro Castelli ha riconosciuto di suo pugno che sta esercitando un “potere di interdizione” nei confronti del presidente della Repubblica.

Ma è proprio questo “potere di interdizione” che, salvo clamorose smentite, non è previsto in alcun modo dalla Costituzione repubblicana.

 

  Marco Boato

MARCO BOATO

BIOGRAFIA


  
© 2000 - 2024
EUROPA VERDE    
VERDI DEL TRENTINO

webdesigner:

m.gabriella pangrazzi
 
 

torna su